mercoledì, marzo 28, 2012

Paris

Paris,25 Marzo 2012
Questo é un post che doveva venire fuori da tanto, almeno da un annetto.
Questo é un post che é venuto fuori oggi con prepotenza, mentre un insolito sole di marzo mi illumina il viso ed i pensieri, al Jardin du Luxembourg.
Oggi é l'ultimo di tre giorni bellissimi, luminosi, difficili.
Ho lasciato Parigi solo 9 mesi fa e tutto questo tempo mi é sembrata una parentesi infinita, un'attesa continua di ogni singolo frammento di questo angolo di paradiso.
E forse non avevo in mente quanto speciale fosse il mio legame con questa città fino a questo momento.

Questo weekend- che é giunto come un dono fra la frenesia dell'ultimo anno di medicina- voleva ricordarmi quanto ogni sensazione vivesse ancora sotto la mia pelle, ogni odore ce l'avessi ancora addosso, quanto questa città sia ancora un nodo di emozioni che si ferma a metà, fra la gola e lo stomaco.
E questo nodo oggi ha cominciato a sciogliersi in lacrime mentre attraversavo il Marais, ripercorrendo le strade che ogni giorno mi portavano a casa, ritrovando gli angoli familiari di rue de Bretagne, il calore del marché des Enfants Rouges, la pittoresca magia di Montmartre al tramonto, le mille anime pullulanti di Belleville.E poi le viuzze bohemiennes di Saint-Germain des Près, i mille acquisti fatti fra rue de Rivoli e Chatelet,le serate di vino ed allegria da Chez Georges, i picnic su pont des arts e l'imbarazzo della scelta fra i mille parchi, in cui stravaccarsi al sole. E poi ancora il profumo delle boulangeries al mattino, i padiglioni accoglienti della Salpetrière, quella finestra del reparto di neurologia che ti regalava la vista del Sacre-Coeur, in mezzo a tanto dolore. La metro che alla fine diventa un pò la tua casa, quelle corse folli e ridicole per prenderla, quando ce ne era una ogni due minuti.
Ogni cosa é rimasta intatta, quasi il tempo non l'avesse sfiorata, quasi tutto avesse atteso il mio ritorno perché ci si può sentire a casa in qualsiasi posto.

E le lacrime restano, con questa sorda malinconia mentre passeggio lungo i bordi della Senna, quasi come se il fiume volesse cullare il mio magone.
Perché é così Parigi. Bella e sfrontata negli attimi di pura felicità, gelida e triste quando la solitudine prende il sopravvento, chiassosa e colorata, con le sue contraddizioni :la città delle mille possibilità e le tristi realtà-di emarginazione e povertà- che ti sbatte in faccia.
Sembra adattarsi al tuo stato d'animo, senza mai essere inopportuna.
E' stato lo sfondo dei miei primi passi ospedalieri, quando soddisfatta e serena tornavo a casa e mi sembrava che tutto urlasse di gioia, che i musicisti nella metro fossero lì solo per me.
E' stata severa quando i fantasmi del passato volevano ripresentarsi.
E' stata accogliente, calda nei 4 mesi che ho trascorso lì, lasciandosi assaporare come un dessert da godersi poco a poco.
La verità é che Parigi é stato il primum movens del mio cambiamento, di quel processo di crescita che sento scalpitare dentro e che, a parole, non so spiegare.
Era lì quando ritrovavo la fiducia persa in questi anni, quando, stupita, mi scrutavo affrontare le prove senza avere voglia di scappare.
E' stata una mamma, un'amica, una confidente in tutti i pomeriggi in cui, camminando per ore, riimparavo a conoscermi.

E potrei continuare per ore ma mi fermerò qui. Perché questo post ha il tono triste di una commemorazione.
Invece mi infilerò le scarpe e punterò dritta verso Saint-Germain, alla ricerca di un'impressione.

Poco dopo, proprio all'incrocio fra bd Saint-Michel e Saint-Germain, un uomo siede a terra.
Chiede, con un pennarello scuro su un pezzo di cartone, "una moneta, una sigaretta, una parola o un ricordo". E, in fondo, in un'ultima piccola frase, sta l'impressione che cercavo.
"Deviens ce que tu es" (divieni ciò che sei).
Ed é questo il regalo più grande di Parigi.

Mi ha permesso di essere ciò che davvero sono. Sarà per sempre il mio posto nel mondo.

P.S:Giusto il tempo di scrollarmi di dosso un pò di malinconia, mi si avvicina un tipo ben vestito, con l'aria di chi vuole chiedere un'informazione. Accenno un leggero sorriso e il tipo mi chiede:"mademoiselle, ça vous direz d'aller au theatre cet aprés-midi?" (signorina, le andrebbe di venire a teatro questo pomeriggio?).Così, d'emblée. Mah. Anche questa é Parigi.

venerdì, ottobre 14, 2011

Il limbo

Questo post é una promessa (non ricordo neanche più per cosa!!!!) che avevo fatto a Riccardo.
Tornare a scrivere o tingermi i capelli di rosso.
Molto meno faticoso e rischioso mettersi davanti la tastiera. Anche se le parole non sgorgano più a fiumi come d'abitudine, anche se non so più neanche se c'é qualcuno che legge ancora quello che scrivo.
Forse la verità é che sono sempre meno abituata all'introspezione. Corro, riempio le mie giornate, faccio programmi a lunga scadenza. Ma troppo raramente mi fermo a pensare cosa voglio davvero, chi sto diventando.
Il punto é che sono davanti ad un anno cruciale.Quello delle grandi scelte, dei mille esami da superare, dello studio con responsabilità. Perché fra poco si diventerà medici e non ci si potrà più nascondere dietro la domanda sfigata all'esame, dietro le mille lacune che ci portiamo dietro.
Ce l'hanno fatta tutti, mi ripeto. Ce la farò anche io, non ho alcun dubbio al riguardo.
Ma quello che mi domando é come voglio farcela. Se a braccetto con la mia migliore amica "ansia" o sfruttando le possibilità di conoscenza e di crescita che questo ultimo anno può darmi.
In fondo questo agognato, terribile sesto anno non é che uno dei tanti limbi ai quali ci costringe la condizione umana. Quasi non più studente, ma neanche dottore.
Non più ragazzo spensierato ma non ancora professionista.
E come tutti i limbi che si rispettino é ben arredato di sgomento, dubbi, angosce e perplessità. Nonché, d'altra parte, dell'ebbrezza di essere ad un passettino dal sogno. Avercela quasi fatta. Cominciare ad assaporare il gusto, per ora un pò lontano, di una vittoria che avrà il sapore dell'autentica pienezza.
Bisogna solo aver coraggio. Per immergersi nel limbo ed arrivarne ad ottobre prossimo vittoriosi. Forse un pò stanchi, certo, ma ormai oltre il confine.

martedì, novembre 23, 2010

C'é troppa vita dentro.

In questi giorni ho pensato tanto a questo blog.
Se cancellare tutto e ricominciarne uno nuovo. Perché, a volte, mi sento proprio anni luce distante da quello che scrivevo qui, dalla persona che ha iniziato questo viaggio nel blog, quando ancora distrazioni come fb o groupon non esistevano.
Poi sono rinsavita. C'é troppa vita dentro. C'é quella ragazza che viveva in una biomedica e aspettava con ansia un pc libero per dare vita a tutto quello che sentiva ,c'é quella ragazza che cominciava a costruirsi un mondo qui, fatto di speranze, abitudini, persone. Alcune rimaste speciali ed insostituibili. Ci sono le crisi quando un esame non dava l'esito sperato. E allora tutte le sicurezze erano minate.
Ci sono sorrisi, delusioni, soddisfazioni, paure, momenti di ilarità. E c'é anche il mio buco nero.
Quello che, con un tocco di superficialità, si vorrebbe poter cancellare. E invece resta lì. Deve restare lì. A ricordare quanto difficile é la scalata verso la luce.Quanto, ahimé, semplice potrebbe essere la discesa.
Ed io sono la risultante di tutto questo. Degli eccessi di passionalità e di quelli di scoramento.
Non potrei bloccare questo divenire, perché da qui vengo.
E mi affaccio così alla vita.Con una nuova consapevolezza ed una maturità che, giorno dopo giorno, mi sento sulla pelle. Con la paura di sbagliare e la voglia di non dargliela troppo vinta a questo stupido tirarsi indietro.

E presto arriverà Parigi.
Ricordo ancora quando, a 14 anni, dissi a mamma che un giorno avrei voluto vivere lì, rapita da quell'atmosfera così spudoratamente sognante.
Me la sentivo addosso, non so come spiegarlo. Ci sono ritornata e quella sensazione era ancora lì.
Più forte dell'antipatia dei parigini, della pioggia costante, della lingua spesso incomprensibile, della loro burocrazia meticolosa.
E ho deciso di fare il passo. Un passo, chissà, più grande di me. Ma non della mia capacità di gettarmi anche in questa esperienza. Temo la lingua, le difficoltà in ospedale, la solitudine, il dover affrontare tutto questo da sola, senza avere dei definiti punti di riferimento.
Ma, d'altra parte, c'é la voglia di scoprire, di mettersi alla prova, di conoscere culture diverse e, a poco a poco, arrivare a sentirmi a casa.Anche sotto il cielo di quella lontana città.

giovedì, agosto 26, 2010

il ritorno!

Sarà di sicuro colpa del fb distrattore, ma era proprio tanto che non mi siedevo davanti a questa pagina immacolata.
Sarà che scrivere é guardarsi dentro. E guardarsi dentro, talvolta, fa paura.
Più facile farsi trasportare dal turbine degli eventi, delle scadenze, degli impegni.
Ma non avrei potuto affrontare queste due settimane di un nuovo tour de force senza guardare, senza guardarmi dentro. Senza spulciare in questo enorme bagaglio di emozioni che l'estate mi ha regalato. Un mese di relax, dopo un periodo piuttosto stancante.
Quest'anno ho lottato parecchio. E me ne accorgo solo ora.
Io che trovo più facile pensare a quello che avrei potuto fare in più, piuttosto che meditare sulle azioni compiute. Ho ricercato la felicità ed ho cominciato a pensare a me stessa, cosa che finora mi era sempre apparsa un'eresia. Ho cominciato a non rifuggire la paura, l'ho lasciata arrivare in superficie, vedere sino a che punto poteva fare male. Ed ho ammesso a me stessa che ho una paura bestiale di essere un medico, di fallire, di non sapere evitare la morte. Ma questa paura rende il mio sogno molto più reale, molto più concreto. Mi mette faccia a faccia con la mia imperfezione, il mio essere umana e, in quanto tale, non infallibile.
Ho ammesso a me stessa che la vita fa paura. Fa paura tutto quello che ancora mi dovrà capitare e quello che non conosco. Ed ho ammesso di essere spesso fragile, impaurita, di avere bisogno di amore.
Non é stato un percorso facile e non sono ancora arrivata al traguardo. E forse non ci arriverò mai. Chissà che forse non sia proprio questo il senso della vita!
E se rileggo i miei post di anni fa non posso che sorridere. Di tenerezza. Per quella ragazzina ingenua per la quale tutto era una lotta, il mondo era meraviglioso e tutto assolutamente risolvibile. Ma é comunque un conforto sapere che quella ragazzina c'è ancora.
Certo deve fare i conti con il mio lato più maturo, ma é sempre dietro l'angolo pronta a divertirsi, ad avere un'occasione in più per sorridere e prendere la vita con un pizzico di leggerezza.
Proprio come é accaduto quest'estate. In cui ho riassaporato la libertà...nel tardo pomeriggio in spiaggia a chiacchierare, nelle giornate trascorse fra risate,letture piacevoli e lunghe nuotate.
Ora però arriva la vera sfida. Mantenere tutto questo sole nelle grigie giornate autunnali, nelle dure sessioni di esame, nei momenti critici. Nella vita vera. Quella che non fa sconti e che talvolta sa essere beffarda...ma mai abbastanza se la si fronteggia a muso duro!!

domenica, febbraio 07, 2010

Sto bene

Sto bene. Me ne accorgo quando sento il vento che mi sfiora la pelle e vorrei non smettesse mai.
Sto bene quando mi addormento. E penso che vorrei che la notte durasse quanto un battito di ciglia, in modo che sia già domani. Già, il domani. Pieno di punti interrogativi e del sapore amaro del dubbio. Ma anche di sogni da realizzare, di progetti, di angoli del mondo da scoprire, di nuovi abbracci in cui potersi cullare.
Sto bene anche se finirò l'università con un altro anno di ritardo e non potrò iniziare presto il tirocinio.E l'orgoglio, la frustrazione, no. Non c'entrano più niente. Perché questo percorso é solo mio. Pieno di buche che mi hanno fatto vacillare, ma anche di momenti luminosi e di autentiche soddisfazioni.E sto bene perché mi sto riconciliando con me stessa, dopo anni spesi a cercarmi.
Perché mi ascolto. E so dove voglio arrivare.
Sto bene perché, nelle giornate di pioggia, se posso permettermelo, mi fiondo sotto il piumone a leggere un buon libro o comincio a fare nuovi esperimenti culinari. Sto bene perché ho scoperto lati di me che possono interessarsi anche a qualcosa che non contenga la parola medicina e non posso proprio più ignorarli.
Sto bene e, quando i mari erano in tempesta, mi sembrava proprio una condizione irrecuperabile.

martedì, novembre 24, 2009

C'é un posto dove meditare e lasciarsi cullare dal silenzio.

C'è un posto dove meditare e lasciarsi cullare dal silenzio.
I suoi viali alberati, di giorni così colmi di persone, medici, sirene di ambulanze. Di sera solo mio.
Il silenzio discreto delle ore notturne ha fatto da sottofondo a tante mie meditazioni, ai miei pensieri più intimi,ai momenti in cui cerco di parlare alle mie paure e lascio urlare le ambizioni.
Non c'é posto che mi faccia sentire più a casa, più al sicuro, più in pace.
Perché mentre passeggio fra i padiglioni illuminati e i cantieri messi al riposo dalla frenesia quotidiana, penso che lì,fra quelle colline morbide, c'é racchiuso tutto il senso dell'esistenza.
Ed ecco che, nello stesso millesimo di secondo, nello stesso impercettibile attimo, mi sembra di udire il pianto di gioia di un bimbo che si affaccia alla vita e l'ultimo respiro di una vita che si allontana. Ci sono mani che, frenetiche, cercano di fregare la morte e altre pronte a rassegnarsi, quando un'ulteriore lotta sarebbe solo irrispettosa.
E' tutto lì. Le lacrime di un uomo che diventa papà, il gasping, le speranze che non si rassegnano all'evidenza, le preghiere e la rassegnazione, la sofferenza e la paura.
E poi ci sono io. Io e i miei limiti che, ancora e stoltamente, fatico ad accettare. Io che non vorrei essere in nessun altro posto, perché lì c'é tutto quello per cui vivo.

Spesso mi chiedo se sarò qui, fra qualche anno, nelle mie prime guardie, ad osservare Careggi di notte. E ricordarmi di questi anni brutali e bellissimi. a pensare che questo posto mi ha insegnato a vivere, a lottare, a soffrire terribilmente e anche ad amare la persona che mi ha seguito nelle peregrinazioni notturne per i padiglioni.
Certo é che, ovunque, mi porterà la vita avrò sempre di me Careggi di notte. Un posto dove meditare e lasciarsi cullare dal silenzio.

mercoledì, ottobre 21, 2009

Perdersi per ritrovarsi

Ritornare in questo posto ha sempre un effetto strano. Passano i giorni, i mesi scorrono veloci eppure arriva, ineluttabile, il momento in cui ti trovi difronte ad uno schermo immacolato, con l'immancabile thè bollente. E allora sai che non puoi mentirti. Che le frottole, gli autoconvincimenti che ti sei imposta finora non hanno più consistenza, se portati alla vita grazie alla tastiera di un pc.

Un anno fa ero una ragazza, o almeno credevo di esserlo, molto più serena. Immaginavo me tra qualche anno con un bel rudere trasformato in una casa in campagna, una miriade di bambini, una vita da favola. Bastava qualche sforzo e les jeux sont faits.E poi c'era il mio grande sogno. Essere un medico, l'essere infallibile che non sbaglia diagnosi, se s'impegna. Che ci mette l'anima e si beffa della morte.
Credevo che il segreto della bravura, della felicità, del successo stesse nella disciplina, nel metodo, nei programmi. E ho iniziato a quantificare il tempo, decidere a priori cosa ne sarebbe stato del fluire delle stagioni.

E poi la realtà mi ha investito, e forse, salvata. Quanta vita mi sono persa mentre ero impegnata a programmare!Ho sofferto, ho masticato terra e sangue, ho conosciuto il lato duro, spietato e meschino della sofferenza. Quella faccia della vita dal sorriso beffardo, quasi un ghigno malefico.
Ed ho compreso che, spesso le favole sono menzogne e che la realtà può ferirti e lasciarti a terra inerme.Che esiste l'insoddisfazione, la frustrazione, la paura.
Che ci sono lati bui dell'anima difficili da sondare e che, a poco contano i programmi quando sopraggiunge l'inatteso, l'errore, quello che neanche la statistica riesce a ponderare. Che il medico infallibile é un'idiozia degna di candy-candy e la verità è che spesso dev'essere un bravo decisionista: scegliere qual è la terapia che fa meno male, qual é la via che implica meno sofferenza, cosa consente di preservare la dignità del paziente. Che non si muore come sui libri di medicina. Che puoi studiare ogni singola nota, centinaia di casi clinici ma rimarrai ugualmente un fesso quando la natura farà il suo corso.

Sono certo più cinica, ma non con meno voglia di guardare al bello, di puntare al centro.Dritto al cuore dei miei sogni.Ricerco continuamente quell'armonia perfetta che mi fa sentire così meravigliosamente parte di un tutto. Sorrido ancora nelle giornate in cui la luce inonda la stanza e riflette sui libri che serbano l'essenza del futuro, ho ancora il mio modo speciale di far divertire le persone che amo.
Mi commuovo come mai è successo prima, ma soprattutto gioisco per ogni secondo, ogni attimo rubato ai cattivi pensieri. a volte mi sento così bambina, a tratti, invece, é palpabile la mia crescita.Mi perdo ancora ma, da sola e con forza, é sempre più facile ritrovarmi. E nel mentre vivo.Come non ho fatto mai così in fondo.